Chi ha bisogno dell’elearning?

Mi è capitato di fare una ricerca sull’offerta di corsi online in Italia, in particolare in due campi in cui l’e-learning è – o dovrebbe essere – di casa: quello dell’ECM (educazione continua in medicina) e quello della sicurezza sul lavoro. Si tratta di settori in cui la formazione non è una scelta del discente, ma è obbligatoria. Per questo motivo, si tratta di un mercato significativo e interessante: qualcuno deve investire delle risorse economiche, o direttamente (i professionisti della sanità, quando non ci siano sponsor farmaceutici) o indirettamente (le aziende per i propri dipendenti). In entrambi i casi, esistono norme e linee guida pubbliche, dettate dalla conferenza stato-regioni, che descrivono quali metodologie didattiche e quali strumenti siano accettabili o raccomandati al fine di ottenere un apprendimento efficace, oltre che rendicontabile.
Non entro nell’analisi di queste norme e linee guida, che potrebbero senz’altro essere migliorate. E’ comunque abbastanza impressionante constatare che la quasi totalità dei corsi proposti sembra adottare un unico modello, come appunto se questo fosse stabilito dalla norma.

Il modello scelto è pressoché sempre quello della simulazione della lezione in presenza: video del docente e slides affiancate.
Ci sono naturalmente, in apposita area separata, documenti da scaricare, e quiz di autovalutazione.

Le riflessioni che si possono fare per capire e giustificare questa scelta sono tante:
1. questo modello è quello preferito dagli utenti finali, è rassicurante e non impegnativo;
2. questo modello è il più semplice da realizzare per i docenti/autori, non sempre particolarmente edotti nelle metodologie “avanzate” di elearning;
3. questo modello è il più economico e consente di ottenere un risparmio vero rispetto alla formazione in aula. Basta una webcam e Power Point.

Tuttavia viene anche da domandarsi se tale modello sia davvero efficace. Quali sono i risultati alla fine del corso (al di là di quelli misurati dai quiz)? Il lavoratore è davvero più attento e consapevole dei rischi che incontra quotidianamente e mette in atto strategie efficaci per limitarli? L’infermiere migliora la qualità del suo servizio attraverso una migliore comprensione della situazione del paziente e l’acquisizione di competenze nuove per assisterlo?
O, viceversa, ci si può domandare se tutte le ricerche sull’elearning che sono state fatte negli ultimi decenni non siano davvero chiacchiere inutili, visto che un modello così semplice è alla fine quello che contenta tutti. Cooperative learning, communities of practice, learning by doing, valutazione autentica… vanno bene per i libri e i convegni, ma in realtà bastano quattro slide ben fatte e un docente con un bel personale e una voce adeguata per fare elearning efficace ed efficiente.

Chiaramente – almeno dal mio punto di vista – gli effetti collaterali di questa impostazione sono devastanti.
1. I corsisti si convincono che l’elearning non è, e non può essere altro, che una forma di videolezioni che invece di essere trasmesse in TV possono essere fruite con un PC. Il fatto che non sia nemmeno necessario avere fisicamente un DVD da inserire (e quindi dimenticare nel cassetto del PC…) è un vantaggio ulteriore.
Che l’elearning sia un modo diverso di apprendere, che permette di utilizzare le risorse presenti nella rete, resta un segreto esoterico ben nascosto. Probabilmente l’idea che un discente possa aver bisogno di chiarirsi il significato di un termine oscuro che compare nel corso con una ricerca su Wikipedia verrebbe ricacciata indietro con orrore.
La possibilità di interagire in maniera sincrona o asincrona con altri corsisti o col docente, o con esperti esterni, è del tutto assente. Il discente è solo davanti ad un monitor e un mouse. Se vuole chiacchierare via Facebook con i colleghi, lo faccia di nascosto e certo non degli argomenti del corso.
La possibilità di integrare i contenuti presenti con propri commenti, con suggerimenti, esperienze, potrebbe addirittura essere vista come un’eresia, perché va ad intaccare i contenuti “certificati”. Il discente – benché adulto e professionista – è un ignorante che va edotto da zero, e non ha nulla da insegnare.

2. La qualità del prodotto è misurata sul grado di piacevolezza delle slides, sulla capacità di intrattenimento del docente. Immagini accattivanti, voci suadenti e persuasive, animazioni brillanti, ritmo giusto. In sostanza, sulla qualità televisiva dei contenuti. Che ci sia dietro un progetto didattico, che partendo dai bisogni formativi e dagli obiettivi didattici arrivi alla progettazione di un ambiente dove i partecipanti (discenti e docenti) attraverso strumenti diversi costruiscono il proprio percorso di apprendimento, passa completamente in secondo piano. Quindi una piattaforma vale l’altra, anzi non serve affatto (tranne per la questione antipatica del tracciamente del tempo di consultazione dei materiali). Non serve nemmeno una competenza dimostrabile nella progettazione del processo, o anche (Dio ce ne scampi!) nella valutazione: sono sufficienti le competenze di dominio e quelle legate alla comunicazione multimediale. Con buona pace dei giovani laureati in scienze della formazione con un master in e-learning che credevano di avere imparato un’arte.

3. I formatori d’aula più attenti ed esperti non possono che prendere le distanze da questo “e-learning” e sostenere, a buon diritto, che non avrà mai l’efficacia di una buona lezione in presenza, dove c’è interazione, si parte dalle esperienze e bisogni personali dei discenti, c’è la possibilità di adattare linguaggio e contenuti al contesto. Come dargli torto? Naturalmente sono tutte possibilità che un ambiente di e-learning potrebbe consentire, anche se in forma diversa, e per certi versi più vantaggiosa (per esempio, per il fatto che l’interazione verbale può essere registrata, analizzata e ripercorsa anche in seguito con gli stessi corsisti, o riusata per arricchire e migliorare il corso in vista di edizioni successive).

Con chi prendersela? Come modificare questa situazione di stallo? Da dove cominciare?


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Una risposta a “Chi ha bisogno dell’elearning?”

  1. […] Il modello scelto è pressoché sempre quello della simulazione della lezione in presenza: video del docente e slides affiancate. Ci sono naturalmente, in apposita area separata, documenti da scaricare, e quiz di autovalutazione….Tuttavia viene anche da domandarsi se tale modello sia davvero efficace. Quali sono i risultati alla fine del corso (al di là di quelli misurati dai quiz)? Il lavoratore è davvero più attento e consapevole dei rischi che incontra quotidianamente e mette in atto strategie efficaci per limitarli? L’infermiere migliora la qualità del suo servizio attraverso una migliore comprensione della situazione del paziente e l’acquisizione di competenze nuove per assisterlo? Chiaramente – almeno dal mio punto di vista – gli effetti collaterali di questa impostazione sono devastanti….continua…  […]