Sic et non

Anni, anzi decenni fa, avevo scritto un software che si chiamava Textis. Era uno strumento completamente inutile, nel senso che non rispondeva a nessun bisogno.
Ma aveva uno scopo: quello di permettere di disporre su un “telaio” (di qui il nome) dei fili di ragionamento, e di intrecciarli.
I fili erano composti di “perle” colorate (in omaggio al “Gioco delle perle di vetro” di Hesse). Il prodotto finito poteva rispodere a fini estetici, più che cognitivi.
Non essendoci ancora un’Internet collaborativo, ogni tessitore lavorava (o giocava) da solo, e al massimo poteva inviare la tela ad altri.
Che io sappia, sono stato anche l’unico ad utilizzarlo un po’ (anche se faceva parte di materiali didattici di un corso di perfezionamento a distanza in Tecnologie per l’Educazione).
Non posso esibire il software perché non esiste oggi un sistema operativo per ospitarlo.
Mi limito perciò a riportare qui un esempio dei materiali di partenza con cui, all’epoca, tessevo.
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Questo testo è un omaggio alla logica medioevale (e in particolare al maestro Abelardo), o meglio, alla buona abitudine retorica di esplorare un ambito problematico attraverso una contrapposizione di tesi e antitesi. Mi sembra che questa maniera espositiva, oggi un po’ dimenticata, sia particolarmente consona alla “retorica ipertestuale”, nella quale un concetto non è dato una volta per tutte come fisso e immutabile, ma ha un significato diverso a seconda del punto di vista, del percorso seguito e dell’esperienza del viaggiatore che lo incontra sul suo cammino.

Così ho voluto presentare dieci tesi sugli ipertesti in forma di contrapposizione. I temi sono questi:

1. rapporto tra IT e tecnologia digitale

2. isomorfismo tra IT e struttura della mente

3. esigenze “grammaticali” nello studio degli IT

4. ruolo degli IT nell’apprendimento

5. IT e realtà virtuale

Per qualcuno sarà facile riconoscere dietro ogni tesi alcuni dei principali interlocutori del dibattito italiano e non; qualche esempio è raccolto in fondo a questo testo.

L’invito non è però a prendere una posizione, ma a muoversi nello spazio creato dall’opposizione.

Sic et Non

1. Rapporto tra IT e tecnologia digitale

1a. Il concetto di ipertesto è astratto, generale, indipendente dal supporto tecnologico. Gli ipertesti sono normali enciclopedie, ma su supporto elettronico anziché cartaceo. Il primo esempio di ipertesto (come viaggio virtuale in uno spazio di dati) risale a sei secoli fa: la Divina Commedia.

1b. Non è possibile parlare di ipertesti a prescindere dalle nuove possibilità di attivazione del testo tipiche del computer: diverse vedute parallele di un corpus ipertestuale (finestre), registrazione e ripetizione delle operazioni svolte (percorsi), reperimento istantaneo di qualsiasi informazione nell’intero corpus (ricerca), etc.

2. Isomorfismo tra IT e struttura della mente

2a. Gli ipertesti non sono semplicemente buoni strumenti cognitivi: sono “gli” strumenti cognitivi per eccellenza; funzionano perché sono isomorfi ai processi mentali: sono percorsi all’interno di reti di informazioni debolmente strutturate da legami associativi. La funzione precede lo strumento.

2b. Non sappiamo abbastanza del funzionamento della mente per decidere pro o contro l’isomorfismo tra mente e ipertesto; possiamo però utilizzare gli ipertesti come strumenti di apprendimento per nuove modalità di pensiero “reticolari”, nuove modalità di scrittura non-lineari. Lo strumento viene prima della funzione.

3. Esigenze “grammaticali” nello studio degli IT

3a. La fase dell’improvvisazione sta per finire: è il momento di definire le nuove discipline del settore. In particolare, la sintassi ipertestuale deve stabilire i tipi di legami corretti tra unità testuali; la retorica ipertestuale deve stabilire quali legami sono adeguati per certi fini.

3b. Non si può stabilire nessuna regola per i legami: anzi, gli ipertesti rappresentano proprio la rivincità della libertà di scrittura, la sfida al lettore nell’interpretazione del collegamento, insomma il gioco a due dell’opera aperta.

4. Ruolo degli IT nell’apprendimento

4a. Gli ipertesti possono svolgere una funzione formativa solo in contesti in cui i soggetti sanno già cosa cercare, cioè sono dotati di una buona capacità di apprendimento (tipicamente, degli adulti). Altrimenti, generano solo superficialità, smarrimento, confusione.

4b. Gli ipertesti sono ambienti di esplorazione che non richiedono nessuna conoscenza previa, ma che presuppongono una modalità ingenua e aperta di interazione (tipica dei bambini). Si appoggiano sulla curiosità del lettore, fanno affidamento sulla sua intuizione, sulla facoltà di associazione “veloce”.

5. IT e realta’ virtuale

5a. Gli ipertesti appartengono alla famiglia delle nuove tecnologie di rappresentazione dell’informazione. Tra ipertesti e realtà virtuale c’è solo una differenza di percentuale d’uso della lingua scritta come strumento di rappresentazione sintetica di informazioni. L’affermarsi di queste tecnologie implica l’affermarsi di una nuova teoria dell’apprendimento.

5b. Mentre gli ipertesti sono strumenti di apprendimento, la realtà virtuale e in generale le simulazioni al computer sono solo strumenti di intrattenimento. Non ha senso richiedere al soggetto che esplora uno spazio virtuale di estrapolare conoscenze per induzione, ripercorrendo ogni volta tutto il cammino della scienza.

Alcune opinioni “illustri” e meno illustri a sostegno delle tesi

1a

David Kolb (intervista a Mediamente – RAI Educational)

“La nozione di ipertesto ha origini antiche o medievali, nel senso che se si legge il Talmud o certi tipi di manoscritti che contengono commenti sui commenti, vi si intravede la possibilità di avere testi aperti, che rifiutano di essere chiusi; si può prendere il manoscritto e scrivere qualcosa a margine e, poi, qualcun altro può scrivere un altro commento accanto. In un certo senso è la stampa che sembra aver delimitato la nozione di testo nel senso divenuto oggi comune, e a cui si riferiscono i teorici dell’ipertesto.”

George Landow (intervista a Mediamente – RAI Educational)

“Con questo intendo dire che sembra del tutto ovvio che i lettori, all’inizio, leggano soltanto in un modo più o meno lineare; a mano a mano che diventiamo più sofisticati, tendiamo ad usare note a piè di pagina, glossari, e a lasciare il testo che stiamo leggendo per consultarne un altro, e poi tornare al primo. Questo processo è molto simile, ma non del tutto identico, all’esperienza della lettura di un ipertesto. Naturalmente, ci sono testi che sono più ipertestuali di altri. I testi scolastici che contengono note a piè di pagina o in fondo al libro, o glossari, sono molto più ipertestuali di un semplice romanzo o di un racconto. D’altra parte, le enciclopedie sono opere quasi del tutto ipertestuali.”

Stefano Penge (Storia di un Ipertesto )

“Niente ipertesti senza computer? Si possono citare subito due casi quanto meno sospetti, tratti dalla letteratura: la “Vita e opinioni di Tristram Shandy, gentiluomo” di Sterne e il “Finnegans Wake” di Joyce.”

1b

Stefano Penge (Storia di un Ipertesto)

“Anche senza sapere in anticipo che cos’è, si può giurare che dove c’è un ipertesto, lì sotto c’è una macchina particolare: un computer. Stranamente, questo requisito viene raramente preso in considerazione, quasi costringesse il teorico puro a sporcarsi le mani con la fuliggine della ferriera. Eppure, non esiste un singolo oggetto progettato, descritto o venduto come ipertestuale che non si basi sulle capacità uniche dei computer. Tre in particolare:

a. memorizzare dati in forma indicizzata

b. leggere e scrivere dati con tecniche e tempi paragonabili

c. rappresentare in un supporto unico informazioni di tipo diverso”

2a

Peppino Ortoleva (intervista a Mediamente – RAI Educational)

“Ma che cosa si vuole raggiungere con un ipertesto? Io credo che l’ipertesto abbia delle potenzialità straordinarie di tipo mentale; il punto, l’elemento più affascinante dell’ipertesto è la capacità di simulare processi associativi che sono simili ai processi della nostra mente. Eisenstein, grande regista russo, sosteneva che il montaggio consisteva nell’associare, proprio come nella mente umana; l’ipertesto è una macchina per combinare infinite possibilità di montaggio. Dunque esso è una macchina potenzialmente molto simile alla mente umana, con una capacità di stimolo straordinaria, purché sia costruita secondo queste sue potenzialità.”

2b

Antonio Calvani, (Telèma n 12)

“Un manto di ingenue illusioni avvolge in particolare l’ambito degli ipertesti. Si può parlare di “fallacia omeopatica”. Sinteticamente il ragionamento sotteso sembra di questo tipo: tecnologie che assomigliano al funzionamento della mente migliorano comprensione e conoscenza; gli ipertesti assomigliano alla mente, in quanto il loro funzionamento è reticolare, simile alla mente; la familiarità con ipertesti migliora dunque comprensione e conoscenza.”

3a

Peppino Ortoleva (intervista a Mediamente – RAI Educational)

“Questo è un tema molto affascinante e io credo che siamo ancora agli inizi, stiamo ancora andando a tentoni. McLuhan diceva che la prima fase dell’automobile era la carrozza senza cavalli.

Direi che la fase dell’ipertesto sia il cinema forse, addirittura la televisione senza Corrado o senza Maurizio Costanzo, oppure senza carta; direi che la grande maggioranza degli ipertesti in circolazione siano enciclopedie senza carta. [..] Quello che sto cercando di dire è che, in sostanza, noi siamo ancora nella fase in cui si costruisce un ipertesto per analogia con vecchie forme di costruzione intellettuale.”

David Kolb (intervista a Mediamente – RAI Educational)

“Penso sia possibile fare buona letteratura usando l’ipertesto; non penso, tuttavia, che per ora sappiamo ancora come realizzarla. È come inventare un nuovo strumento musicale: per un po’ di tempo la gente esplora le possibilità dello strumento, il pianoforte, per esempio, e poi arriva qualcuno che è capace di sfruttare queste possibilità per fare grande musica. Penso che ora siamo nella fase di esplorazione dell’ipertesto letterario, la sperimentazione sulla forma.”

3b

George Landow ((intervista a Mediamente – RAI Educational)

“Una cosa da fare è di rendere ben chiaro al lettore dove comincia il mio testo e dove quello di qualcun altro comincia, si interrompe e riprende. Dove sono i confini? Dobbiamo avere una retorica, in altri termini, dei confini e dei limiti del documento. Questo si mette in atto spesso nel WWW attraverso la creazione di uno stile unitario all’interno di un sito, ad esempio attraverso l’uso di colori di sfondo, o di immagini nell’intestazione o nel piè di pagina dei documenti; in questo modo, una volta che Lei lascia il mio documento sa che ha trovato qualcos’altro, e quando torna indietro sa dov’è.”

Stefano Penge (Storia di un Ipertesto)

“Il primo obiettivo che ci poniamo è quello di analizzare una rete in termini di configurazioni minime ricorrenti. In altre parole, vogliamo costruirci un’unità di misura (la configurazione minima, appunto) che sia a metà strada tra le unità di base (nodi e legami) e la rete nel suo complesso.

Si tratta insomma di una specie di studio grammaticale (nel senso tradizionale del termine) delle reti ipertestuali.”

4a

Antonio Calvani, (Telèma n 12)

“Analogamente, va sottolineato come la “navigazione” ipermediale a scopo di apprendimento contenutistico possa risultare dispersiva per studenti troppo piccoli e inesperti della materia, tenendo conto delle difficoltà che l’ipertestualità come ambiente di studio normalmente pone (vedi in proposito la tabella 2 ). L’impiego di libri multimediali a fine di studio diventa perciò tanto più utile quanto più il soggetto conosce già la materia e ha un buon controllo conoscitivo complessivo; allora può usare l’ipertestualità come un modo per riattraversare il dominio secondo altre ottiche e quindi padroneggiarlo ulteriormente.”

4b

Nicholas Negroponte (Telèma n 3)

“Finché non c’erano i computer, gli strumenti e i giochi per fare queste esperienze erano pochi. Ricordo apparecchi mirati a scopi specifici il cui uso era consentito soltanto sotto il controllo e la disciplina della scuola (questa è stata la mia scusa per non studiare la chimica). Il computer ha portato un cambiamento radicale. D’improvviso, imparare dalle proprie azioni è diventato la norma. In altre parole: dal momento che è ormai possibile simulare al computer quasi tutto, non c’è più bisogno di sezionare una rana per capire come è fatta. Basta chiedere ai ragazzi di costruire una rana, di assemblare cioè virtualmente un animale che si comporti come una rana: per studiarne l’anatomia e il comportamento o solo per giocarci insieme.”

Sherry Turkle (Telèma n 12)

“Con questo intende dire che, come nei videogiochi, anche in SimLife si impara giocandoci. Non ci sono regolamenti da leggere prima di cominciare né termini di cui cercare il significato. Tim riesce a lavorare su una comprensione intuitiva di quel che potrebbe funzionare giocando, anche senza avere prima capito le regole su cui si basa il comportamento del gioco. La sua reazione a SimLife, cioè il fatto che ci gioca in modo disteso anche senza capire granché del modello su cui si basa il gioco, è esattamente ciò che preoccupa gli educatori: essi temono che gli studenti non imparino granché quando usano i software educativi.”

5a

David Kolb (intervista a Mediamente – RAI Educational)
“Si può pensare, quindi, di usare la realtà virtuale come mezzo di espressione e di comunicazione, magari non direttamente come metodo di discussione ma come metodo di presentazione. Penso che sia importante superare la visione della realtà virtuale come prodotto commerciale, qualcosa che si assorbe semplicemente – vai in una realtà virtuale tipo Disney o Hard Rock Café e sei completamente dominato da quello che ti vogliono vendere- e pensare, piuttosto, alla realtà virtuale come alla possibilità di avere mondi personalizzati che non sono però vie di fuga ma mezzi di comunicazione”


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