Giocando con gli articoli

Sono capitato su una proposta di esercizio di coding con Scratch che ha il pregio di non portare in giro il gattino, ma di occuparsi di lingua, il che è una bellissima cosa.
La proposta è quella di realizzare un quiz. Nell’immagine si vede il codice: il quiz è programmato in modo da chiedere al bambino un articolo, determinativo o indeterminativo.
Se viene fornito un esemplare corretto, il gioco-quiz risponde “bravo” altrimenti “hai sbagliato” (non ho chiesto il permesso di ripubblicare l’immagine, spero che nessuno se ne abbia a male).
esercizio sugli articoli
Si potrebbero dare alcuni suggerimenti generali (“bravo”: e se risponde una bambina? “hai sbagliato”; non è molto invitante a continuare…). Il tutto potrebbe essere reso più divertente con poco sforzo dal lato dei messaggi, inventando un contesto più o meno fantastico, una storia intorno, etc.

Ma qui vorrei parlare del senso dell’attività e non della sua forma, che è sicuramente embrionale e migliorabile anche nelle intenzioni di chi ha proposto l’esercizio.

Veloce ripasso: nella grammatica tradizionale ci sono le parti del discorso variabili e quelle invariabili. Tra quelle variabili, almeno per l’Italiano, ci sono gli articoli. Gli articoli si dividono in determinativi e indeterminativi. Poi ci sarebbero gli articoli partitivi ma lasciamoli da parte.
Ci sono due modi di fare attività sulla classe degli articoli e sulle sue sottoclassi:
– data la classe, elencarne i membri (elencazione esaustiva);
– dato un articolo, dire a quale classe appartiene (categorizzazione).

Sembrano equivalenti, ma non lo sono. Il primo modo ha un valore solo didattico/valutativo, ovvero ha senso solo per verificare se si conosce la collocazione degli articoli nella gerarchia, all’interno delle attività di apprendimento.
Il secondo invece ha un senso pratico, cioè va a toccare la capacità di fare inferenze, che è poi il motivo per cui si impara la grammatica. Le etichette servono come ganci mnemonici, ma quello che è importante è sapere quando va usato un tipo di articolo. E questo può servire a parlare e scrivere correttamente, oppure – più importante – a far capire quello che si intendeva dire, o a capire quello che è solo sottinteso. E’ la potenza meravigliosa del linguaggio, che consente di dire molto con poco; ma questa potenza si controlla solo con la conoscenza delle regole grammaticali (sintattiche, etc).
Ad esempio, dalla frase:
1)    Giovanni è venuto con il figlio.
se sono in grado di categorizzare correttamente “il” come determinativo, e so cosa significa determinativo, posso inferire che Giovanni ha un solo figlio, maschio.
Invece dalla frase:
1a)    Giovanni è venuto con un figlio.
se sono in grado di categorizzare correttamente “un” come indeterminativo, e so cosa significa, posso inferire che Giovanni ha più figli (o figlie), di cui almeno uno è maschio.
Ci sono casi più complessi dell’uso dell’articolo determinativo, come quando si premette ad un sostantivo per indicare un caso tipico, generale (“L’uomo è un animale razionale”) invece dell’individuo, ma lasciamoli da parte.
Volendo programmare un quiz sugli articoli mi sembrerebbe più utile lavorare sul secondo modo (categorizzazione). Per esempio, dato come stimolo un articolo a caso, chiedere al bambino di categorizzarlo come determinativo o indeterminativo.
In entrambi i casi, chi programma deve sapere quali sono gli articoli, come si chiamano le sottoclassi e quali articoli ne fanno parte; e poi saper gestire un ciclo, la generazione di un numero casuale, un input, un test di appartenenza ad una lista e un output. Sono cose che deve sapere già, non le scopre programmando.

Però i computer si possono usare anche in altri modi, oltre che come esercitatori automatici. Si possono programmare come automi (linguistici in questo caso) che siano in grado di agire, rispondere, categorizzare. Non è il computer che sa e che mi interroga (surrogato del maestro), ma sono io che gli insegno (à la Papert). La differenza forte è che in questo modo si procede a partire dalla conoscenza implicita della lingua che i bambini hanno, si cerca (attraverso un confronto di gruppo e con l’insegnante) di formalizzarla e poi di codificarla. Si possono fare delle ipotesi, su quella base creare un programma e poi valutare se il risultato è soddisfacente ed eventualmente tornare sul codice.
Ad esempio, si può programmare un robot che sia in grado di dire se un articolo (fornito dal bambino) sia determinativo o indeterminativo. Meglio ancora, un robot che sia in grado di fare un’inferenza basata su questa informazione.
Il robot potrebbe:
– ricevere una frase in input (es. “Giovanni è venuto con il figlio“)
– cercare all’interno della frase un articolo;
– se lo trova, cerca di categorizzarlo come determinativo o indeterminativo, e come maschile o femminile.
– inferire delle informazioni e restituirle in output (“Giovanni ha un solo figlio ed è maschio“).

Il robot non è perfetto, e ci sono parecchie cose interessanti che possono succedere. Per cominciare, la frase potrebbe non contenere un articolo; o contenere un ambiguità (“Giovanni è venuto con l’insegnante“). Il robot dovrà essere in grado di trattare con la mancanza di informazioni sufficienti (“Giovanni ha un(una) insegnante, ma non so se è maschio o femmina“).

Il robot si può, un po’ alla volta, rendere più intelligente. Potrebbe cioè essere in grado di decidere quale, delle tre forme possibili di articolo maschile (un/uno/un’ e il/lo/l’)), si può applicare davanti ad un sostantivo che comincia per vocale, per consonante, o per una serie particolare di consontanti (Z, GN, SB, SC, SF, SG, SL, SM, SN, SP, SQ, ST, SV). La composizione di questa speciale serie di consonanti si può scoprire un po’ alla volta, facendo delle prove ad orecchio (“Il gnomo? un spazzacamino?”),
Si può anche andare oltre la lingua italiana per come la conosciamo, e domandarsi come si dovrebbe comportare il robot con parole come “swarosky”, o “ngorongoro”. Qui non può che aprirsi una discussione, interessantissima a mio parere, su cosa è più “logico”, su che significa “normale”.

Questo schema generale si può applicare ad altre parti variabili del discorso. Per esempio, sui sostantivi e sul genere: come si fa a determinare il genere di una parola?
Che rapporto c’è tra genere (grammaticale) e sesso? Ci sono altre informazioni che possono essere utili, oltre alla finale della parola, per inferire il genere (es. “l’insegnante severa“).

Oppure si può applicare ad ambiti completamente diversi di categorizzazione. Per sempio, si può programmare un robot che sia in grado di distinguere i triangoli equilateri, isosceli e scaleni. Qui non c’è una conoscenza implicita da parte dei bambini, o è molto vaga. Si può partire da alcune domande, per esempio sul rapporto tra angoli e lati; si possono mostrare dei triangoli diversi e provare a categorizzarli intuitivamente. Dipende dagli obiettivi dell’attività e dal livello di conoscenza della geometria.
Il robot potrebbe:
– ricevere tre angoli in input (es. 80, 20, 80)
– verificare se si può disegnare una figura chiusa con quegli angoli (come?), se si disegnarla
– verificare se ce ne sono tre uguali; se si, è equiangolo (ed equilatero), se no:
– verificare se ce ne sono due uguali; se si, è isocele, se no è scaleno
– inferire delle informazioni e restituirle in output (“Siccome due angoli sono uguali, lo sono anche due lati“).

Prima di arrivare agli angoli, si potrebbe provare a usare i lati, per scoprire che i lati non sono sufficienti per disegnare il triangolo. Oppure, previo qualche esperimento, scoprire che non servono tre angoli, ma ne bastano due. O andare avanti a scoprire le proprietà di simmetria dei triangoli equilatero e isoscele (se li si gira su un asse restano “uguali”). Si può sperimentare con un numero di lati maggiore di tre. Non sono un insegnante di geometria piana, quindi sicuramente manco qualcosa di fondamentale, ma credo di aver reso l’idea.
Fare entrambi i tipi di attività (sulla lingua e sulla geometria) aiuta a definire una tipologia di problema, quella della categorizzazione, e riflettere sulle strategie trasversali che si mettono in anno per risolverla, sulle differenze tra i domini, sull’essenza delle definizioni, sul concetto di norma. Programmare il robot è un ottimo modo, a mio parere, di rendere visibili, condividere e discutere, queste strategie. Purché lo si faccia in maniera costruttiva, sperimentale, e non limitandosi a disporre blocchi.


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