Educational Opendata

Il collegamento tra liberazione dei dati ed evoluzione delle competenze (vedi Platone, Stallman e gli OpenData) potrà sembrare un po’ azzardato in un momento in cui gli investimenti sulla formazione (sia professionale che di base) sono un po’ carenti, per usare un eufemismo. O peggio, si investe su una formazione che guarda al passato, invece di precorrere i tempi della nuova ondata di cristallizzazione delle competenze a cui stiamo assistendo appunto con il fenomeno degli opendata.
Ma non è un caso che la formazione resti sempre un po’ fuori dai riflettori.
Uno degli usi meno citati quando si parla di opendata è proprio quello relativo all’educazione. E’ vero che nel portale opendata del Ministero dell’Istruzione Italiano sono disponibili i dati relativi alle scuole e agli attori del sistema, anche se di non facilissima interpretazione (avete provato a rispondere alla domanda “quanti alunni nel Lazio abbandonano la scuola nel primo anno” ?). Sono presenti quattro categorie di dati:
– Anagrafe strutture (l’elenco degli istituti, georeferenziati; contiene anche quello delle attrezzature informatiche)
– Alunni (immatricolati, ingresso, uscita, diplomati, ripetenti, abbandoni, …)
– Personale (in servizio, trasferiti, pensionati, assenze per malattia e maternità, …)
– Finanze (ovvero gli importi e le provenienze delle entrate).
I dati sono accessibili anche tramite una app per Android sul market place di Google Open Data Scuola.
Sicuramente si può fare di più, questo è solo l’inizio, come correttamente si riconosce nel colophon del portale stesso. Questi dati soddisfano solo in parte quelli elencati nel questionario legato all’OpenDataDay Italy sotto la voce “Formazione”: asili, scuole, università, istituti di formazione privati (con informazioni su accessibilità, numero di iscritti, tassi di abbandono, risultati, turn-over docenti, assenze, corsi di formazione, …). Ma in effetti la scuola che emerge da questi dati è un luogo piuttosto triste in cui, per dire, non si capisce bene cosa ci si va a fare.
Qui “educativo” si riferisce al dominio dei dataset: dati relativi alle attività educative. Le motivazioni che spingono al riuso ricadono nell’ambito del diritto alla trasparenza, uno dei due capisaldi dell’opendata – l’altro è quello dello sviluppo di un mercato nuovo, difficilmente applicabile nel caso di un elenco di aule o di ripetenti.
Breve escursione oltre confine. Negli USA è stata lanciata a gennaio 2012 la Education Data Initiative  che punta a rendere i dati collegati con l’educazione accessibili e machine-readable. In sintesi, il progetto mira a rendere disponibili quattro tipi di dati:
– Data about individual learners (MyData Initiative)
– Data about learning resources (Learning Registry)
– Data about competencies (Open Badges)
– Raw data sets
E’ già qualcosa di più, se non altro per la visione più larga, che include anche le competenze e le risorse didattiche. Ma la domanda è se oltre alla trasparenza e al business ci possa essere un’altra motivazione per l’apertura dei dati. La risposta (che sorpresa…) è che si potrebbero usare per migliorare l’educazione.
Attualmente l’educazione prevede nella stragrande maggioranza dei casi l’uso di libri cartacei o semi-digitali, che contengono una sintesi verbale delle informazioni, accompagnata da alcune tabelle e grafici riassuntivi e dall’inevitabile corredo multimediale (per la verità un po’ povero di contenuto informativo). Che il tutto stia su supporto cartaceo o digitale, che sia raccolto in un cd o in un sito, che sia utilizzato dallo studente con il suo tablet personale o in classe davanti ad una LIM, non fa poi molta differenza, almeno dal punto di vista di questo articolo. Ci sono due problemi qui: il primo è che i dati diventano presto obsoleti, soprattutto i dati relativi alla vita e le attività delle persone (i fatti). Chi di voi è genitore sa che questa è la porta maestra per giustificare il rinnovo annuale dei testi scolastici…  Il secondo è che inevitabilmente il libri presentano una scelta limitata di dati, sia qualitativa che quantitativa. Pur riconoscendo l’utilità e anzi la necessità di un discorso che presenti e riassuma concetti e interrogativi in forma comprensibile per gli studenti delle diverse età e livelli di competenza, è sui dati stessi che si potrebbe forse fare qualcosa di più. Raw data now…
Immaginate di avere a disposizione i dati aggiornati ed aperti relativi alla geografia economica di una Regione (dati dell’industria, del turismo, PIL,  reddito pro capite, …). E che questi dati siano – se non proprio Linked Open Data – georeferenziati e incrociabili con le mappe della Regione stessa. E che – udite udite – sopra questi dati venissero collocati semplici strumenti di rappresentazione grafica come quelli proposti da Recline della Open Knowledge Foundation.
Le scuole del territorio dotate di connessione Internet (e di LIM), da quelle primarie fino ai professionali, potrebbero accedere direttamente ai dati e utilizzarli per le attività tipiche di un modelli di “didattica per scoperta”: invece di accontentarsi di dati già filtrati e obsoleti, potranno direttamente andare a verificare come stanno le cose, andare a toccare con mano le connessioni tra la geografia e l’economia, tra gestione dei beni culturali e turismo, etc. Grafici e mappe interattive potrebbero essere dinamici, aggiornati agli ultimi dati disponibili ma anche configurabili in base a diverse domande degli studenti, permettendo loro di selezionare i dati da mostrare e gli incroci più interessanti (che so: turismo e viabilità, produzione di energia solare e abbandono dell’agricoltura).
Il discorso non vale solo per la geografia, ma anche per la storia, insomma per tutte le discipline in cui i “fatti” siano considerati centrali rispetto alle “regole” da apprendere.
Accanto ai dati numerici si potrebbero immaginare dati lessicali, bibliografici, per lavorare anche sugli aspetti linguistici. La pubblicazione integrale del testo delle leggi dell’Italia, dal 1870 ad oggi, potrebbe per esempio consentire ricerche su temi specifici, come l’evoluzione dei diritti dei cittadini Italiani.
Occorrerà dare attenzione all’usabilità (in senso ampio) del portale dei dati educativi, prevedendo un percorso tra i dataset pensato appositamente per gli studenti. Le scuole dovrebbero essere coinvolte nelle attività di disegno del progetto, a partire dagli “Open Data Day” locali; agli studenti e ai docenti dovrà essere richiesto di partecipare alla proposta di nuovi dataset, o al perfezionamento della struttura di quelli esistenti.
Mi auguro che questo modo di intendere gli opendata trovi interesse tra gli enti pubblici (come il MIUR stesso, ANSAS o il CNR) ma anche, perché no, presso gli editori scolastici, che così darebbero un senso a quella “parte digitale” dei libri scolastici che ad oggi francamente rischia di lasciare il tempo che trova.


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  1. […] Il collegamento tra liberazione dei dati ed evoluzione delle competenze (vedi Platone, Stallman e gli OpenData) potrà sembrare un po’ azzardato in un momento in cui gli investimenti sulla formazione (sia professionale che di base) sono un po’ carenti, per usare un eufemismo.O peggio, si investe su una formazione che guarda al passato, invece di precorrere i tempi della nuova ondata di cristallizzazione delle competenze a cui stiamo assistendo appunto con il fenomeno degli opendata…. Immaginate di avere a disposizione i dati aggiornati ed aperti relativi alla geografia economica di una Regione (dati dell’industria, del turismo, PIL, reddito pro capite, …). E che questi dati siano – se non proprio Linked Open Data – georeferenziati e incrociabili con le mappe della Regione stessa. E che – udite udite – sopra questi dati venissero collocati semplici strumenti di rappresentazione grafica come quelli proposti da Recline della Open Knowledge Foundation. Le scuole del territorio dotate di connessione Internet (e di LIM), da quelle primarie fino ai professionali, potrebbero accedere direttamente ai dati e utilizzarli per le attività tipiche di un modelli di “didattica per scoperta”: invece di accontentarsi di dati già filtrati e obsoleti, potranno direttamente andare a verificare come stanno le cose, andare a toccare con mano le connessioni tra la geografia e l’economia, tra gestione dei beni culturali e turismo, etc….  […]

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