Flickr e l’apprendimento informale

Continuo a sperimentare su Flickr, scelto come piattaforma 2.0 per certe caratteristiche sue:
– la parola non è centrale
– la foto non è un oggetto mediaticamente forte come il video o l’audio
– la foto è un prodotto che ha conservato legami col passato molto di piu’ del video e dell’audio

La domanda generale è quella relativa all’apprendimento informale in una piattaforma di questo tipo.
Diciamo che è un esperimento (per ora su me stesso) di applicazione delle teorie sull’apprendimento informale.

(Se funziona qui, con molti “se” e “ma”, puo’ funzionare in altri ambienti, progettati anche appositamente,)

Quanto sono utili all’apprendimento attività manuali diverse come:
– andare in cerca di foto “a istinto” (ricerca libera per parole chiave)
– iscriversi a gruppi tematici
– scegliersi dei contatti
– inviare foto sperimentali
– creare set per categorizzare questi esperimenti
– commentare e farsi commentare
– titolare le proprie foto
– creare dei gruppi apposta

Quanto sono fondamentali le funzioni automatiche dell’ambiente che ci sono (segnalazione di possibili contatti, di foto interessanti) o che potrebbero esserci (segnalazione di foto “simili”, in cui simile andrebbe definito)?
Quanto è utile la prosecuzione al di fuori dal SN virtuale con contatti reali con le persone conosciute lì dentro ?
Quanto l’approfondimento su altri media (carta) di quello che su Flickr è appena abbozzato, o solo citato, o non c’è, per esempio degli stili, delle scuole, delle epoche, delle tecniche, dei fotografi ?
Quali requisiti ci vogliono perché tutto questo funzioni (età? competenze alfabetiche alte? capacità di autogestirsi? tempo libero? serendipity?)

Occorrerebbero interviste, questionari, o vere simulazioni…. per ora mi limito alle ipotesi, alle discussioni e alle analisi personali.

C’è poi la questione della valutazione.
Come verifico il mio apprendimento (supposto che mi interessi farlo, magari solo per decidere se il tempo perso valeva la pena) ?
Intanto si guardano tante foto degli altri. Ma tante. Magari non all’inizio, ma poi piano piano scopri che tutto quello che hai fatto era già stato fatto.
Il passo seguente è scoprire le altre possibilità.
Su un altro piano: i titoli, le descrizioni, le tag, insomma le parole. Il modo in cui il linguaggio verbale si intreccia con quello visivo cambia: di nuovo si scopre il proprio posto in mezzo all’universo.
Allora questo è un primo punto: la propria collocazione in un insieme.

Infine: come si potrebbe trasferire tutto questo in un altro campo?
Per esempio: scrivi un testo. Poi dai un’occhiata agli altri testi. Ripensi il tuo testo, il posto che il tuo testo aveva per te (nella tua categorizzazione del mondo: bello, fico, unico, speciale, su questo argomento, di questa tipologia… ). Prima ancora di cambiare le tecniche, l’oggetto viene ripensato nel contesto degli altri.

E’ ovvio che in una scuola anormale a nessuno viene proposto di leggere cose scritte da altri pari.
Ma soprattutto il posto (nella scala di valori e nel sistema dei concetti) viene assegnato da qualcun altro.
Anche qui si potrebbe indagare oltre le classiche distinzioni tra utenti partecipanti e utenti “lurkers”
Ci sono utenti che non vogliono mostrarsi ma esplorare, e capire meglio quello che fanno attraverso un confronto “muto”. Non è solo la …sfera emotiva ma anche quella cognitiva, non solo i valori ma anche le categorie.
Da un altro punto di vista: negli ambienti di apprendimento formali si entra per imparare, e si sottoscrive un patto formativo
In quelli informali non si sottoscrive un patto, ma si impara lo stesso (controvoglia?). Non ci sono garanzie, certo. Ma per certi versi sembra che, per citare un paradosso, non si possa non imparare.


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