Strumenti digitali usati analogicamente

Mi sono reso conto improvvisamente (eh sì) che la mia maniera di pensare la “didattica digitale” è spesso lontana da quella di molti che in teoria dovrebbero essere dalla mia stessa parte, la parte di quelli che studiano, sperimentano e propongono agli altri attraverso corsi, libri, seminari e sogni vari. Ci troviamo vicini, ci salutiamo cortesemente, sembra che vogliamo camminare nella stessa direzione, poi improvvisamente c’è un’interruzione di questa comunità di intenti. Forse ho capito perché.

Gli strumenti digitali sono tanti, diversi, e si possono usare in tanti modi diversi. Già per questo parlare di “innovatività del digitale”, o di “didattica digitale” è un po’ generico e ingenuo. Certi strumenti digitali si possono usare per creare strutture nuove, o per replicare modelli esistenti. Si possono usare in maniera ingenua, come se fossero funzioni naturali, date ad Adamo una volta per tutte; oppure si possono esaminare, scegliere, usare magari lo stesso ma sapendo chi li ha costruite e perché.
Soprattutto, si possono usare strumenti digitali come se fossero analogici, all’interno di strutture di pensiero tradizionali; oppure capire come funzionano e sfruttarne le caratteristiche più proprie.
Detto in altro modo: ci sono tante dimensioni lungo le quali si può immaginare e valutare l’uso degli strumenti digitali:

  • consapevole/ingenuo
  • creativo/fedele al modello
  • individuale/collettivo
  • fruitivo/produttivo

    ma quella fondamentale per me resta:
  • digitale/analogico

Dimensione paradossale, in cui il termine che sembra lapalissiano (“uso digitale di uno strumento digitale”) è in realtà la descrizione di un uso del digitale consapevole delle differenze e delle opportunità che offre rispetto al corrispondente analogico; mentre il contrario, cioè “l’uso analogico del digitale” è la descrizione di un uso veloce, superficiale, attento agli obbiettivi immediati, quelli che si possono definire a priori, indipendentemente dalle tecnologie scelte e usate.

Anni fa avevo provato a descrivere alcune delle caratteristiche del digitale. Sbagliando, credevo di parlare del “digitale in sé”, mentre stavo parlando proprio di questa differenza.
Scrivevo che il digitale è inerentemente flessibile, plurale, virtuale, omogeneo. Ognuno di questi aggettivi era un modo di descrivere delle operazioni possibili sugli oggetti digitali e non sui corrispettivi analogici: modificare all’infinito, modificare a più mani, tradurre e reinterpretare da un campo mediale all’altro, eccetera. Queste possibilità derivavano sia dal fatto che alla base c’erano bit, cioè forma e non materia, sia dal fatto che i dispositivi digitali si possono programmare per fare cose non previste, non contenute nell’orizzonte presente.

(La parte seguente può essere saltata da chi si è già interessato alla storia dei media e ha già riflettuto recentemente su questi temi, cioè immagino tutti. In questo caso, può saltare direttamente a leggere la Conclusione ).


1. Gli strumenti digitali nascono per la quasi totalità come rimediazioni di quelli analogici, come scrivono Bolter e Grusin, in un processo che non è una sostituzione netta, e in cui non è subito ovvio se e quando il doppio digitale prenderà il posto di quello analogico.
La coppia pc-wordprocessor, ad esempio, è una versione digitale della macchina da scrivere. Serve a fare le stesse cose, ma inizialmente costa anche di più, è più difficile da usare, richiede un apprendimento specifico; però presenta dei vantaggi: carta infinita, cambio di font, dimensioni variabili eccetera eccetera. Talmente vantaggi che le macchine da scrivere oggi sono scomparse.

Gli orologi analogici invece no, almeno quelli di altissima gamma. Come le carrozze a cavalli sono quasi scomparse, tranne per i matrimoni e per fare il giro del Colosseo. La versione digitale costa poco ed è per tutti, quella analogica per pochi. Potrebbe essere il destino dell’educazione analoagica (umana o cartacea), quella di essere riservata ai ricchi; ma passiamo oltre.
A volte sono quasi indistinguibili, come nel caso delle macchine fotografiche reflex o delle videocamere. Una reflex digitale assomiglia fisicamente ad una analogica, anche se pesa un po’ meno, e fa esattamente la stessa cosa. Solo che non ha bisogno di pellicola, perché la luce viene tradotta in bit prima di essere registrata su una scheda a stato solido, ma questo è del tutto trasparente per l’utente, il quale francamente se ne infischia.
All’estremo opposto, alcuni strumenti digitali sono apparentemente molto diversi da quelli analogici che intendono sostituire; o meglio, fanno astrazione dalla materia e dal corpo (che poi è proprio quello che fa meglio il digitale: rende generico l’hardware). Hanno in comune con quelli analogici solo l’interfaccia, il modello d’uso e lo scopo: un software di editing video assomiglia ad una centralina video ma è un software che gira in un PC qualsiasi, non ha bisogno di un macchina specializzata, non occupa spazio e si può aggiornare facilmente. Costa quasi lo stesso, è vero, ma si può copiare o accontentarsi della versione “open”.

In tutti questi casi, chi ha utilizzato prima gli strumenti analogici e poi quelli digitali ha (o meglio potrebbe avere) la percezione delle differenze, dei minus (“Ah, la qualità degli amplificatori a valvole…”) e dei plus (“Uh che sbadato! Va beh, Ctrl-Z”) che derivano dal fatto che i dati vengono creati filtrando e numerizzando segnali, e che una volta costituiti in forma digitale possono essere trasformati, copiati, inviati all’infinito, senza nessuna perdita. I più anziani, fortunati, o ricchi, possono permettersi di scegliere tra la versione analogica e quella digitale. In ogni caso, per quel poco o tanto di tecnica che conoscono, sanno che dentro il corpo macchina ci sono cose molto diverse.

Chi ha usato solo gli strumenti digitali invece li considera semplicemente gli strumenti disponibili oggi per ottenere certi risultati. Non confronta con nulla, non conosce la storia, non riconosce nel nuovo il vecchio – non sa perché sulle tastiere dei PC esiste un tasto per bloccare il maiuscolo che però non funziona con i tasti che presentano numeri e simboli insieme. Niente di male, intendiamoci: non bisogna per forza aver scritto con una penna d’oca per apprezzare le qualità della Bic. Ma per loro la Bic è lo strumento della scrittura, e non ce ne sono né possono essere altri. Soprattutto, non fanno attenzione al processo sottostante, non sono interessati al funzionamento.

2. C’è una seconda classe di strumenti, che nascono come doppi digitali di uno strumento analogico ma poi si trasformano in altro. E’ il caso del telefono, per spiegare l’evoluzione del quale non c’è bisogno di tante parole. In questo caso, una volta raggiunto l’obiettivo di simulare il comportamento dello strumento target (il telefono analogico) ci si è trovati tra le mani un oggetto talmente potente da poter essere usato come di altre pratiche (fare fotografie, registrare audio) e come terminale di servizi internet (navigare nel web, comunicare). Questo doppio o triplo uso per un certo periodo lascia interdetti gli utenti più vecchi, che continuano a usare uno smartphone come un telefono, mentre è perfettamente compreso dai nuovi utenti, che a limite non lo usano mai per telefonare, ma che importa? Non è un caso: è che essendo l’hardware (e il sistema operativo) dei supporti generici, quello che ci si fa sopra è praticamente illimitato. Una volta fatto lo sforzo di convincere le persone ad avere tra le mani un coso digitale, il più e fatto e da lì si può far passare tutto.

3. Infine ci sono gli strumenti totalmente digitali, nati digitali, senza nessuna corrispondenza analogica. Sono rari perché per affermarsi devono poggiare su concetti completamente nuovi. Il foglio di calcolo è uno di questi: non assomiglia veramente a nulla, non potenzia un foglio di carta a quadretti ma fa cose diverse (sostituisce la mente nei calcoli, e lo fa continuamente). Questi strumenti si basano su una caratteristica unica che gli deriva dall’essere, tutti, al fondo, dei computer: la possibilità di essere programmati. Che non significa : programmati per fare una cosa. Gli strumenti analogici si possono configurare, se ne possono variare i parametri; ma non si possono programmare, nel senso di stabilire comportamenti diversi in base a situazioni differenti. Uno strumento digitale è capace di scegliere come comportarsi sulla base di uno schema di situazione che può essere molto complesso e che si chiama “programma”.


Conclusione

Arriviamo al punto: i doppi digitali si possono anche usare limitandosi alle funzioni che erano possibili coi i loro antesignani analogici. Ma i risultati più ricchi, soddisfacenti, soprattutto per quanto riguarda l’educazione, si hanno quando se ne sfruttano le caratteristiche intrinseche, quelle che poggiano sul loro trattare dati digitali (flessibili, molteplici, omogenei…) e di poter essere programmati. Quando oltre ad usarli in maniera critica, creativa, in gruppo, per produrre artefatti eccetera eccetera si sfrutta il fatto che in questo particolare universo le lettere si possono trasformare in suoni, e i numeri in disegni; che le storie si possono rendere vive e le mappe navigabili, allora li si usa in maniera davvero educativa.
Ecco perché usare strumenti (o servizi) digitali all’interno di un framework educativo analogico mi pare riduttivo.
Ed ecco quello che mi separa da tanti educatori digitali “innovativi”.


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