TDT: l’acronimo nuovo che nuovo non è

La DaD può essere vista come il risultato di un’addizione:

Didattica Tradizionale + Tecnologia Digitale Tradizionale

Il risultato è (spesso) la lezione frontale via videoconferenza, l’interazione come scambio di documenti da ufficio, la valutazione tramite quiz online.

Confusi o confuse?

Non c’è nessun errore, volevo proprio dire che la tecnologia usata per la DaD è del tutto tradizionale.
L’equivoco nasce perché “tecnologia” viene sempre associata a innovazione (nella tautologica espressione “nuove tecnologie”), ancora di più quando è sovraccaricata con il pleonastico “digitale”.
Ma non è vero. Non c’è nessuna innovazione nell’usare le piattaforme a cui siamo ormai abituati perché sono le stesse che usiamo a casa.
La TDT è onnipresente, è l’acquario dentro cui siamo tutti, ormai da tempo, per tutto il tempo.
Tradizionale in fondo significa trasparente, naturale. Significa usato e non costruito, né decostruito.
Tradizionale significa aderente ad un modello non esplicito, se non nascosto. Si fanno cose secondo una regola che non è percepita come tale. Si chiede di spegnere webcam, accendere microfoni, come se fosse una necessità didattica, mentre è un vincolo dell’ambiente tecnologico. Ci si preoccupa del problema del riconoscimento dello studente all’esame, del problema di come impedire che imbrogli e copi, di come superare il digital divide che impedisce agli studenti di famiglie disagiate di collegarsi in video, senza accorgersi che il contesto in cui questi diventano problemi è stato imposto dalla piattaforma, dalla TDT. Il modello della DaD è la somma del modello didattico tradizionale con quello delle tecnologie attuali.

Il problema della tecnologia didattica tradizionale è proprio la sua invisibilità. Lo condivide con tutto il resto delle tecnologie non didattiche. E non è un caso: si tratta dei primi passi di un processo di colonizzazione del mondo dell’educazione, dopo quello della formazione aziendale.
Un motore di ricerca non rende evidente l’algoritmo di indicizzazione (quindi di filtro) e di ordinamento dei risultati (quindi di indirizzamento).
Un catalogo online parte dal profilo del cliente (passato e futuro) nel costruire la rappresentazione virtuale del magazzino.

Tutte le piattaforme, o per lo meno quelle usate nella maggior parte dei casi, portano dentro di loro un modello non solo didattico tradizionale (la lezione, i compiti), ma anche un modello di relazione tra utente e fornitore basato sullo scambio servizi/dati. Servizi gratuiti contro dati personali: scelte, testi, agenda, rubrica. Siamo al di là del modello consumistica, in cui lo scambio merci/denaro almeno era visibile e riguardava oggetti, e in qualche modo controllabile da entrambi i lati.

Naturalmente se si vuole cambiare strada bisogna cambiare entrambi i termini dell’addizione.
Non basta una didattica aperta, ispirata ai Maestri, se si accettano gli strumenti tradizionali. Bisogna provare a scegliere e usare strumenti diversi, che siano aperti, che non abbiano dietro interessi estranei, che siano plurali.

E se non ci sono, bisogna costruirli e fare in modo che siano sostenibili.


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